TRAINA
SILENZIOSA
dal sito
www.nautica.it
Circola ancora la voce secondo
la quale le barche a vela non sarebbero adatte per praticare la pesca sportiva.
Niente di più sbagliato! Direi anzi che, per alcuni tipi di pesca
dilettantistica mediterranea, la vela è addirittura più funzionale di molti
quotatissimi fisherman con doppia e potente motorizzazione. Perché? Perché le
barche a vela:
-
hanno quasi sempre motori
ausiliari diesel aspirati di potenza non eccessiva tale cioè da consentire
andature lentissime (1-2 nodi) ottimali per la traina costiera con esca
naturale, ovvero un po' più sostenute (3-6 nodi) potenzialmente buone per
tutti gli altri tipi di traina
-
durante le crociere,
soprattutto se di lungo corso, navigano sovente con o senza motore alla
velocità giusta (4 o più nodi) in acque lontane e spesso inesplorate agli
effetti del trolling e ove sono possibilissimi incontri entusiasmanti con i
pelagici di altura (tonni, alalunghe, aguglie imperiali, ecc.); ovvero in
bacini costieri privilegiati (isole e arcipelaghi) ove è tutt'altro che
improbabile centrare bersagli di alto pregio sportivo e gastronomico come le
palamite combattive e i dentici squisiti
-
sono in grado di garantire,
grazie alla loro opera viva, notevolmente pronunciata, una stabilità senza
confronti nell'azione di pesca a bolentino e in drifting; in verità la seconda
un po' penalizzata a causa delle sartie che limitano la libertà di movimento e
della mancanza del seggiolino da combattimento
-
salvo poche controindicazioni
possono essere agevolmente attrezzate per la pesca, in particolare per la
traina.
L'unico handicap, che si
aggiunge a quello concernente il drifting al "molto grosso" appena accennato,
riguarda i tempi, talvolta eccessivamente lunghi, necessari per raggiungere
teatri di pesca molto distanti dalla base di partenza; sennonché questo problema
esula dal contenuto del presente articolo che è essenzialmente incentrato sulla
traina svolta, senza deviazione alcuna, sulle rotte seguite durante i viaggi di
trasferimento. Agli accennati fattori concernenti la validità del mezzo nautico
invelato ai fini della pesca, ne va poi sommato un altro, anche esso di segno
positivo, attinente agli equipaggi: di norma l'andare a vela in crociera ha come
presupposto e come stimolo una particolare forma mentis improntata allo spirito
di avventura, alla ricerca di evasione dai paradigmi ricorrenti nella vita di
tutti i giorni, al desiderio di scoprire il nuovo in noi stessi e nelle cose più
belle che ci offre la natura; e allora possiamo ben dire che questo insieme di
sentimenti e di aspirazioni si armonizza pienamente con la pratica della traina
che, in definitiva, è anch'essa una proiezione del nostro interiore verso
l'insolito e verso l'imprevisto.
Prima di andare avanti con il
discorso, penso che sia interessante rievocare un esempio di portata emblematica
concernente le crociere mediterranee a largo raggio. Si tratta di questo. Un mio
amico, nell'estate di ogni anno, intraprende con la sua barca a vela di 11 metri
crociere familiari che lo conducono dal porto di armamento continentale
(Fiumicino) alla Sardegna, o alla Corsica, o alle Baleari o ad altre isole che
vengono abitualmente circumnavigate per intero. Questo mio amico ha preso
l'abitudine di rimorchiare perennemente una sola traina costituita da una canna
da 30 libbre, da un mulinello del 9/0, da un cuscino di lenza in dacron da 50
libbre, da 200 yards di filo metallico autoaffondante (monel), da un terminale
in nylon dello 0,60 lungo 15 metri e da un'esca artificiale (Rapala) di 13-18
centimetri. Per regola inderogabile a mare ci vanno l'artificiale, il terminale
e il monel (40 metri nelle traversate, 100 metri nei peripli costieri). Ebbene,
con questa semplice attrezzatura il mio amico riesce spesso ad approvvigionare
di pesce fresco la mensa di bordo: primeggiano i tonni di branco e le alalunghe
durante le traversate, i dentici e le palamite nel corso delle circumnavigazioni
insulari effettuate queste ultime con l'unica accortezza di seguire, nei limiti
del possibile, la batimetrica dei -20.
Come
attrezzare la barca
Servono, per partire, un paio di portacanne amovibili (al limite ne basterebbe
uno solo) con chiusura a morsetto che possono essere piazzati senza problemi
sulle tubolature della battagliola di poppa. Possiamo dire che, con questo o con
questi soli portacanne, la nostra barca è già pronta per cimentarsi in attività
di pesca. Se però le aspirazioni raggiungono un certo livello occorreranno anche
portacanne a incasso (uno centrale e due laterali); l'ecoscandaglio con allarme
acustico posizionato preferibilmente in prossimità del posto di guida, il pilota
automatico, la strumentazione elettronica di radio-posizionamento, la vasca per
le esche vive (può bastare una bacinella di plastica da 30 litri) con presa di
acqua di mare o con un modesto ossigenatore. Quasi sempre alcuni degli aggeggi
appena elencati fanno già parte delle dotazioni di bordo. Di altri ammennicoli -
e cioè poltrona o seggiolino da combattimento, bigo, basamenti fissi per
downrigger (affondatori a palla di cannone) e per outrigger (divergenti per
canne) - ne dovremo fare a meno in quanto incompatibili con le strutture e gli
armamenti delle barche a vela.
Se poi, oltre alla traina,
penseremo di dedicarci al bolentino occorreranno ancore con braccia pieghevoli,
ancorotti da scoglio e cime per l'ancoraggio (sezione: un millimetro per ogni
metro di lunghezza dello scafo) di lunghezza almeno doppia rispetto a quella dei
fondali prescelti per la pesca.
Le
attrezzature pescanti
Il minimo indispensabile per una traina polivalente è costituito da una sola
canna da 30 libbre con mulinello a tamburo rotante dei numeri 6/0 o 9/0
imbobinato con dacron o nylon da 50 libbre meglio se seguito da una intera
bobina di monel (180 metri) di pari libbraggio; ma per aumentare le probabilità
di cattura è certo più conveniente disporre anche di una seconda e di una terza
canna con relativi mulinelli. Le potenze so-praindicate possono apparire un po'
eccessive; peraltro - considerata la possibilità di in-contrare prede
particolarmente impegnative specie quando si viaggia con la sola vela in alto
mare - sono quelle praticamente più adeguate alle nostre esigenze specifiche.
E' consigliabile che le canne
siano del tipo stand-up lunghe cioè poco più di un metro e mezzo meno
ingombranti di quelle normali (m 2,20-2,30) e concepite peculiarmente per il
combattimento in piedi senza l'ausilio del seggiolino; è inoltre opportuno
scegliere mulinelli muniti di allarme sonoro (la cosiddetta cicala) molto sonoro
e perciò ben percepibile anche quando in zona pozzetto non c'è nessuno. Almeno
uno dei mulinelli sarà fornito di lenza metallica come indicato sopra; per
imbobinare l'altro o gli altri mulinelli sarà sufficiente impiegare il solo
dacron (o nylon) appesantito, quando è necessario, con piombi amovibili. Le
esche di più facile impiego e spesso anche di maggior cattura sono quelle
artificiali: nel nostro caso pesci finti (minnows) con paletta metallica (ottimi
i Rapala da 11 a 18 cm) e, in altura, anche le piume con testina solida da 5 a 8
cm montate su ami ad occhiello ed a gambo corto dei numeri dal 3/0 al 7/0. Ci
occorrerà anche qualche altra cosetta e cioè: un grande coppo e una robusta
gaffa di ferraggio con manichi lunghi tanto quanto basta per immergerli almeno
mezzo metro abbondante, un giubbetto da combattimento con bicchierino e
bretelle, una nutrita serie di piombi amovibili da 200 grammi in su. Se
intenderemo dedicarci al bo-lentino o al drifting, le attrezzature pescanti
saranno quelle specifiche per tali forme di pesca.
L'azione di traina
Sia a vela che a motore la nostra azione di traina incontra precisi limiti
connessi alla situazione meteorologica.
Orientativamente:
-
con mare calmo o quasi calmo
e vento fino a 6-7 nodi potremo impiegare tre canne;
-
con mare formato e vento dai
7 ai 15 nodi dovremo scendere a due canne;
-
con mare ben formato e vento
da 15 a 20 nodi il massimo è rappresentato da una sola canna;
-
oltre questo ultimo limite
non si può più trainare. Se pescheremo con più di una traina e non vorremo
correre il rischio di ritrovarci con le lenze aggrovigliate fra di loro,
dovremo sempre recuperare, quanto meno in parte, le lenze a mare in caso di
considerevole variazione di rotta: perciò attenzione ai bordi.
Le frizioni dei mulinelli
andranno di regola tarate su valori prossimi alla metà del carico di rottura
dell'elemento più debole della lenza. In altura le lenze saranno filate a
distanze comprese tra i 15 ed i 40 metri da poppa. Monteremo sia i pesci finti
(dai 7 ai 18 cm) sia le piume con testina solida. I terminali di nylon
varieranno dallo 0,60 allo 0,90 e saranno lunghi 4 o 5 metri. Non avremo bisogno
di usare piombature. Durante le traversate il segnale principe circa la presenza
dei predatori in mangianza è rappresentato dai salti degli stessi pesci ovvero
dal volo concentrato e frenetico dei gabbiani che volteggiano, picchiano, si
tuffano e risalgono senza interruzioni. E' bene perciò tenere sotto attenta
osservazione visiva, le acque ed il cielo vicini e lontani; e, non appena
individuati detti segni, avvicinarsi quanto più rapidamente è possibile alla
zona di mare interessata. Altri indizi di presenza possono essere costituiti
dagli stuoli di uccelli (più sono e meglio è) posati "a bagnomaria", ovvero dal
bip-bip dell'allarme acustico dell'ecoscandaglio regolato su una profondità di
10-15 metri. Da non trascurare infine i relitti galleggianti alla deriva sotto i
quali allignano di solito corpose lampughe. La velocità di traina mediamente più
proficua varia dai 5 ai 7 nodi.
A costa i risultati migliori si
ottengono facendo viaggiare le esche sotto la mezzacqua o in prossimità del
fondo. Traineremo perciò con lenze affondate mediante il monel il quale a 4 nodi
(andatura più congeniale nelle acque litoranee) scende di 60 centimetri per ogni
decametro immerso ovvero mediante i piombi amovibili; al riguardo è da tener
presente come parametro che un piombo fusiforme di 300 grammi rimorchiato a 50
metri da poppa naviga circa 3 metri sotto la superficie. I terminali, in nylon
dello 0,50-0,60, saranno lunghi una quindicina di metri. Come esche useremo
esclusivamente pesci finti con paletta metallica lunghi dai 7 ai 14 centimetri;
è da ricordare, allo scopo di evitare i sempre fastidiosissimi arroccamenti, che
i pesci finti hanno un loro autonomo coefficiente di affondamento che varia, in
rapporto alle dimensioni dell'esca e sempre all'andatura di 4 nodi, da un minimo
di m 2,50 (il 7 centimetri) ad un massimo di m 3,50 (il 14 centimetri).
Le lenze vanno sempre filate a
distanze diverse: ad esempio una laterale a 40 metri e l'altra laterale (imbobinata
con il monel) a 100 o più metri; la traina centrale, se messa in pesca, sarà
portata sempre più a corto e sempre più a fondo delle laterali. Durante le
crociere ci sono abitualmente delle tabelle di marcia da rispettare anche in
fase di navigazione costiera per gli spostamenti da una località all'altra. Ciò
può comportare la convenienza di adottare la tattica escogitata da quell'amico
di cui ho parlato prima seguendo costantemente una batimetrica di potenziale
validità che, di norma, varia dai 15 ai 20 metri. Questo modus operandi funziona
certo meglio quando si viaggia in acque pescose quali sono di solito quelle che
contornano le isole e gli arcipelaghi; ma molto meno nei bacini continentali
purtroppo molto più poveri perché troppo sfruttati. Comunque, se nel nostro
costeggiare ci imbatteremo in fondali particolarmente propizi quali sono di
regola quelli rocciosi caratterizzati da cospicui salti batimetrici, nessuno ci
vieterà, tabelle di marcia permettendolo, di insistere e persistere in loco.
Il
recupero delle prede
Soffermiamoci ora un minuto sulle azioni successive all'abboccata, dirette al
salpaggio del pesce. Sono possibili due scenari diversi.
-
Il pesce ferrato è di taglia
modesta. Ce ne renderemo conto immediatamente per la limitata violenza
dell'impatto: il filo fuoriesce lentamente dal mulinello, ovvero non fuoriesce
affatto mentre la canna si flette moderatamente e vibra appena un poco. In tal
caso, sia a vela che a motore, ridurremo o cercheremo di ridurre la velocità
della barca e daremo subito corso al recupero accostando a destra o a manca
per ridurre la trazione. Se il comando direzionale è affidato alla barca
basterà una sola persona che potrà lavorare con la canna ed il mulinello e,
contemporaneamente, agire sulla barra stessa servendosi delle gambe. Se
viceversa c'è la ruota sarà bene che un membro dell'equipaggio si metta ai
comandi. Ove la barca stia navigando con il pilota automatico, la soluzione
del problema recupero sarà notevolmente facilitata. Di norma le prede minori
vanno "volate" direttamente a bordo.
-
Il pesce ferrato è di buona
stazza. Anche in questo caso l'indicazione dell'evento fuori ordinanza ce la
fornirà la velocità di scorrimento del filo scandita dal rabbioso e costante
gracidio della cicala. Ecco il da farsi:
- se andiamo a vela
metteremo un attimo la prua al vento per accendere il motore e per serrare
la frizione del mulinello quanto serve; prenderemo poi la rotta che consente
di procedere all'andatura più lenta, cominceremo a ridurre la superficie
velica esposta, recupereremo le lenze non impegnate. Solo dopo essere
rimasti a secco o quasi a secco di vele potremo provvedere al salpaggio; in
questa fase faremo evoluire la barca e stringeremo o allenteremo la frizione
quanto serve in rapporto al comportamento del signore che sta attaccato
all'estremità del filo. E' importante non mandare la lenza in bando ad
evitare che il pesce possa cambiare senza fatica la direzione di fuga e
riuscire così a liberarsi dell'amo o dell'ancoretta. Le operazioni di
emergenza da effettuare sulla velatura sono le seguenti:
a) fiocco in bando
b) scotta e randa allascate al punto di assicurare, avuto riguardo alla
direzione ed alla forza del vento, una certa governabilità della barca.
E' ovvio che, nelle menzionate evenienze, avranno maggiori possibilità le
unità fornite di equipaggi numerosi e bene affiatati. Qualche esercitazione
di prova con correlativa assegnazione di ruoli precisi a ciascuna delle
persone imbarcate non guasterà mai.
- Se invece navighiamo a
motore tutto diventa più semplice. Nell'uno e nell'altro caso ricordiamoci
sempre che il pesce in canna non ha alcuna intenzione di arrendersi e che,
se non vogliamo perderlo, dovremo farlo stancare parecchio senza mai serrare
a morte la frizione del mulinello prima di portarlo sottobordo ove, alla
vista ravvicinata dello scafo, scatenerà tutte le sue residue energie spesso
ancora incredibilmente possenti. Le prede di taglia, diciamo dai cinque
chili in su, non vanno né coppate né tantomeno "volate". Ci vuole un deciso
colpo di raffio inferto con forza possibilmente nella parte dorsale
anteriore del corpo.
Quello che abbiamo descritto
finora può, entro certi limiti, essere fatto anche impiegando robuste traine a
mano; con le quali non potremo utilizzare il monel, correremo in maggior
misura l'alea di ritrovarci con la lenza spezzata e dovremo rinunciare a
priori alla esaltazione della sportività della pesca. Ma tant'è: meglio le
traine a mano che niente.
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